Chi è Dacia Maraini? E come scrive?
Il primo impatto con questo libro è avvenuto su una spiaggia: ero in vacanza due anni fa e la ragazza, giovanissima, leggeva alcune righe di questo libro alla sua sorellina. Ne sono rimasta così affascinata che ho deciso di volerlo nella mia biblioteca. Se poi pensate che questa recensione, anzi direi racconto, arriva quasi un anno dopo averlo letto, potete capire quanto questo romanzo mi sia entrato dentro.
Dacia Maraini è una di quelle donne che ammireremmo in ogni tempo: figlia di Fosco Maraini, diventa l’emblema della donna che prende posizione di fronte ad un mondo di uomini e non si lascia cullare dall’ombra del padre, decisamente famoso come etnologo, alpinista, orientalista e scrittore. Siamo nel ‘900 pieno e Dacia negli anni ’60 – ’70 diventa famosa come scrittrice e drammaturga, fondando il primo teatro gestito interamente da donne nel 1973. Il contesto nobiliare le deriva dalla mamma, la principessa e pittrice siciliana Topazia Alliata, mentre la nonna materna era una cantante lirica, figlia di un diplomatico cileno, e la nonna paterna una scrittrice. Internata negli anni ’40 nei campi di concentramento giapponesi insieme alla famiglia, rientra in Italia e dopo un matrimonio fallimentare, convive con Alberto Moravia. Guardandola ora, non si riesce a non pensare a quanto le parole le siano state familiari: la sua scrittura è semplice ma articolata, coinvolgente e descrittiva, quasi teatrale in alcuni versi, poetica nelle immagini che racconta, forte e cruda come solo il contesto poteva permettere.
La protagonista che mette in scena, Marianna Ucria, è una donna apparentemente molle, anche fisicamente: il corpo è morbido, le braccia flaccide, la pelle bianca. Pare che anche la sua mente sia “morbida”, troppo ingenua per comprendere i giochi politici che le volteggiano intorno, viene costantemente sorvegliata in una Sicilia del ‘700 in cui si percepiscono le voci sussurrate, il caldo afoso della terra brulla, la polvere e le carrozze che attraversano la terra rude. La storia di Marianna è però molto più complicata: a causa di una violenza subita da piccola, è completamente muta e non ha memoria di cosa le sia successo e del perché.
La verità verrà a galla in tarda età soltanto, alla fine del libro, donandole finalmente la comprensione del suo essere profondo, la voglia di riprendersi tutto il tempo perduto. Grazie alla verità lei, per la prima volta in modo consapevole e risoluto, prenderà in mano la sua vita e fiorirà, rinascerà mostrando al mondo e al lettore tutto ciò che teneva segregato nel suo cuore. E’ una rinascita repentina ma costante: alla morte del marito-zio, frutto di un matrimonio combinato e senza amore, lei sceglierà di dedicarsi alla politica, all’amministrazione dei terreni, alla ristrutturazione dell’antica villa di famiglia, alla vita dei suoi figli. E qui il lettore prende coscienza egli stesso della forza nascosta di questa donna: il mutismo è stato il vero rapporto con gli altri. Sempre presente eppure sempre considerata inesistente ha osservato, spiato e letto le labbra di tutti i suoi familiari conoscendoli così a fondo da poterli ora gestire nel migliore dei modi. Sempre ai margini della vita sociale ne conosce ora ogni sfacettatura e la sua fioritura non può che diventare la via attraverso cui esporsi in quel mondo e cambiarlo dall’interno, finanche aprendosi ad un amore che sembrava sbagliato e impossibile.
Così come appare morbida, con gentilezza prenderà il sopravvento sulle vite di chi la circonda, dando prova a tutti della sua enorme forza e delle sue capacità e riuscendo a farsi amare da tutti: familiari, nobili e poveri contadini.
Titolo: La lunga vita di Marianna Ucria
Autore: D. Maraini
Genere: Romanzo storico
Casa Editrice: Rizzoli
Prezzo: 11 euro
Detto tra noi … leggetelo se amate le storie dal sapore antico, forte, che rimangono scolpite nel cuore perché ogni lettrice può facilmente innamorarsi di una storia così, di una donna epica nella sua continua presenza, come se vegliasse in modo angelico su ogni componente del suo cuore e decidesse, solo all’ultimo, di dare loro la speranza del domani.
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